Riserva Naturale della Marcigliana

Un Parco Agricolo tra Tenute storiche, Torri e Casali

La Riserva Naturale della Marcigliana, situata nell’area nord-est della Capitale al di fuori del Grande Raccordo Anulare, ha un’estensione pari a 4.696 ettari ed una vocazione prevalentemente agricola (il 75% della superficie), nonostante i forti legami dell’area protetta con la città, posta tra due importanti  vie  di comunicazione come la Salaria e la Nomentana.

La sua storia geologica segue il percorso generale di sviluppo dell’area romana e in essa troviamo la maggior parte degli affioramenti tipici, che vanno dal Pliocene all’Olocene. L’idrografia è molto sviluppata e la sua complessità si ricava dalla presenza di profonde incisioni vallive; la morfologia del territorio è abbastanza variabile ed ha portato ad intervallarsi zone rilevate, aree pianeggianti, valli incise dall’azione erosiva dell’acqua (con forre profonde) e terrazzi fluviali molto evidenti.

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Per estensione la Riserva della Marcigliana è la seconda area protetta del sistema gestito da RomaNatura. Paesaggio tipico di quest’area è quello di sommità, riconoscibile da una linea di crinale ben visibile, che consente una visuale a 360 gradi delle coltivazioni circostanti; sulla cima è spesso posto un casale con il ruolo di vero e proprio presidio.

I casali sono orlati da vegetazione introdotta come il pino o invasiva come la falsa acacia, che convivono con arbusteti a prugnolo. In epoca medievale le alture vennero fortificate con un sistema di torri e castelli, in parte ancora visibile (Torre della BufalottaTor S. GiovanniCastello della Marcigliana). Caratterizzano la zona sud della riserva vaste pianure assolate e monocolturali, dominate dalla presenza di grandi tenute contornate da sentieri e strade dalle quali raggiungere i poderi confinanti.
Il cerro è la specie dominante nei boschi della Riserva, nei quali troviamo altresì il leccio, l’olmo e l’acero oppio; nelle zone umide dominano il nocciolo e la roverella e tra le specie erbacee numerose sono le felci. Da un punto di vista vegetazionale, tra le specie erbacee più interessanti si segnalano il narciso tazzetta, il giglio rosso e la linaria purpurea.

Da un punto di vista faunistico, le specie presenti superano le 350. Tra i mammiferi da segnalare la presenza di una colonia di daini, tra i 15 e i 20 esemplari, che convivono con il tasso, l’istrice, la donnola, l’arvicola e il moscardino. L’avifauna della Riserva è caratterizzata dalla presenza di rapaci diurni e notturni quali il gheppio, la poiana, il barbagianni, l’allocco e la civetta. Altre specie presenti sono il picchio rosso maggiore e il picchio verde, la calandrella, la rondine, l’upupa e il gruccione. Gli anfibi registrano la rana italica, alcuni esemplari di rospo smeraldino e la salamandrina dagli occhiali (presenza probabile); il gran numero di fossi permette di conservare anche varie specie di pesci (il barbo, la rovella e il cavedano) e di crostacei (il granchio d’acqua dolce).
La Riserva della Marcigliana, infine, mantiene intatto un immenso patrimonio archeologico, in quanto al suo interno sorgeva l’antica città latina di Crustumerium; dagli anni Ottanta numerosi scavi hanno portato alla luce circa 100 tombe con i loro reperti a testimoniare l’importanza del sito.

LA FAUNA

Il territorio della riserva, fondamentalmente per le sue funzioni di corridoio biologico, grazie alle residue macchie, alla conformazione morfologica del territorio, alla fitta rete idrografica e alla presenza di boschi ripariali, vanta un patrimonio faunistico dai connotati rilevanti. Le specie che convivono nell’area protetta sono circa 350 e tra esemplari di Tasso, Istrice, Cinghiale, Poiana, Falco pellegrino, Moscardino e Testuggine risalta la presenza, ormai accertata, del Lupo.

Nel territorio vive inoltre una colonia di daini. Il gruppo nato grazie alla fuga di due esemplari dallo stato di cattività, ha trovato nella riserva un habitat favorevole per la riproduzione e il nutrimento; l’elevato grado di protezione e la relativa tranquillità dell’aria, anche se alle porte di una grande metropoli, hanno fatto sì che la colonia sia diventata ormai una realtà considerata consolidata di questa porzione dell’agro romano.

I fossi come quello della Regina o di Settebagni, ingrossati dalle piogge autunnali, risultano popolati da varie specie di anfibi come la Rana appenninica e il Rospo smeraldino e da pesci tra cui il Barbo, la Rovella (specie endemica delle regioni centro meridionali della nostra penisola) e il Cavedano oltre che da alcune specie introdotte come la Gambusia.

Daino

Granchio d’acqua dolce

Nello stesso habitat trovano rifugio alcuni crostacei come Il Granchio d’acqua dolce, che insieme con alcuni plecotteri ed altri insetti acquatici indicano la buona qualità dei corpi idrici presenti nell’area. I cieli sovrastanti, si arricchiscono di nuove variopinte specie in cerca del loro naturale sostentamento; dopo un volo di migliaia di chilometri, il Falco di palude, l’Albanella minore, la Rondine, L’Upupa, il Balestruccio e il Gruccione vanno a contendere spazio e cibo alle tipiche specie stanziali della zona come la Poiana, il Gheppio, il Barbagianni, l’Allocco.

Nei boschi che riprendono vita e dove spesso è possibile ascoltare il loro caratteristico e incessante picchiettare, trovano rifugio specie come il Picchio rosso maggiore e il Picchio verde. Nei campi che si tingono d’oro grazie al grano e nei maggesi destinati ai pascoli, resi purpurei dal Trifoglio incarnato, è facile imbattersi in esemplari di Calandrella, Cinciallegra, Saltimpalo o di Allodola. Il vasto quadro entomologico, con le temperature che si fanno più miti, prende vita e tutti gli ambienti della Marcigliana, dai boschi ai mantelli, dalle forre ai campi, risultano colonizzati da questo imponente microcosmo.
Numerosi e appariscenti si presentano le famiglie di insetti, dei Papillionidi ai Curcullionidi, dai Cerambicidi ai Coccinellidi sino ai Coleotteri coprofagi dove si presenta probabilmente l’emergenza più rilevante dell’intero patrimonio faunistico della riserva e che riguarda l’Onthofagus semicornis  (Coleottero Scarabeide) la cui presenza sul territorio italiano è ormai ridotto a pochi esemplari.

L’istrice, animale dal carattere timido e leggermente scontroso, popola gli ecosistemi agro-forestali della regione mediterranea, dal piano basale fino alla media collina. Lo si trova perciò in tutta la macchia mediterranea dell’Italia e dell’Africa fino al nord della Tanzania.

Prevalentemente si aggira tra i boschi cespugliati con zone aperte, sassaie e caverne. Difficilmente supera gli 800 m di altitudine. Probabilmente introdotto in Italia dal Nord Africa in epoca romana, negli ultimi decenni la specie sta fortemente ampliando il proprio areale di diffusione, probabilmente a causa della progressiva rinaturalizzazione delle aree collinari e pedemontane avvenuta dagli anni ’70 del secolo scorso.

L’istrice è un roditore di medie dimensioni la cui lunghezza media va dai 60 agli 80 cm (più la coda) per un peso che in genere non supera i 25 kg. Animale notturno trascorre le ore diurne all’interno della tana da lui scavata e quando esce non si allontana mai di molto dalla sua residenza. Solitamente le tane sono delle cavità naturali che loro allargano e adattano, all’interno della tana viene anche creata un’apposita “stanza” destinata al parto.

Ha un andamento lento e barcollante, l’udito e la vista sono poco acuti ma l’olfatto è fortemente sviluppato

Istrice

Istrice

Tasso

Tasso

Animali che… lasciano il segno!
Molti abitanti dei parchi non sono facili da incontrare, ma un buon osservatore può scoprire numerosi indizi rivelatori della loro presenza. Tracce utili all’identificazione delle specie animali possono essere ad esempio le tane , i resti di cibo, gli escrementi.

L’aspetto del Tasso (Meles meles), ad esempio, con la caratteristica banda nera al centro e bianca ai lati, che spicca sul dorso grigio argenteo, e la tipica mascherina nera sul muso, è noto a molti, ma le sue abitudini sono prevalentemente notturne. Una traccia certa della sua presenza, però, in boschi alternati a zone aperte, é rappresentata dalle latrine.

Si tratta di buche profonde una decina di centimetri in cui depone gli escrementi senza ricoprirli; vengono utilizzate per molto tempo e contengono quindi una grande quantità di feci. Di solito vengono collocate non lontano dalla tana o comunque lungo sentieri che il tasso percorre abitualmente. La sua tana, formata da più camere, si distingue spesso da quella della volpe per la presenza di un solco davanti all’entrata.

Questo si forma perché il tasso trasporta il terriccio, scavato ad una certa distanza, per correndo lo stesso tratto più e più volte; la volpe, invece, lascia la terra subito fuori dall’entrata generando un cumulo.plari.

Anche il Moscardino (Muscardinus avellanarius), piccolo roditore con pelliccia gialloarancio e coda lunga e
pelosa che abita le siepi e il sottobosco, é facilmente riconoscibile, ma é attivo per lo più di notte.

Costruisce però un caratteristico nido estivo a forma di sfera, intrecciando foglie, fili d’erba e altro materiale vegetale, che poggia sui rami fra i cespugli. Nelle zone in cui va in letargo (in ambiente
mediterraneo può limitarsi ad un rallentamento dell’attività) ne costruisce anche uno invernale, più piccolo, privo del foro d’entrata e talvolta sotterraneo.

Il suo nome scientifico può far pensare che si nutra esclusivamente dei frutti del nocciolo (Corylus avellana), ma vive anche in ambienti in cui questo è assente nutrendosi di bacche, ghiande e gemme.

Ad ogni modo il ritrovamento di gusci di noci o nocciole con un foro dal margine perfettamente liscio, costituisce un altro indizio della sua presenza.
Il foro lasciato da arvicole o topi ha invece il margine frastagliato.

Moscardino

Moscardino

Nigella Damascena

FLORA

“va verso i campi verdi, verso i luoghi puri…” Testi delle piramidi, 2375-2180 a.C.

Ricche di una flora che conta più di mille specie diverse, le aree protette gestite dall’Ente Regionale RomaNatura costituiscono un vero e proprio giardino botanico a disposizione dei cittadini.

Gran parte di questo patrimonio naturalistico è custodito nella Marcigliana.

Percorrendo i sentieri di questo territorio intimamente legato alla storia e alle tradizioni dell’agro romano, anche il più distratto frequentatore non potrà fare a meno di notare la ricchezza floristica del luogo composta da oltre 500 specie vegetali (ripartite in 84 famiglie e 305 generi).

In primavera, quando la dea romana Flora risveglia la natura, i campi coltivati, le spallette boschive e i pascoli estesi mostrano nuova vita trasformandosi in un quadro impressionista, dove forme, colori e luci si fondono.

Al visitatore, che s’inoltri in questi luoghi, il regno vegetale regalerà osservazioni floristiche sempre più sorprendenti; ogni minuto, ogni ora passata ad osservare con attenzione ciò che ci circonda, sarà fonte di nuove emozioni.

Le formazioni forestali (oggetto di protezione anche ai tempi dell’impero romano), dominate dal Cerro in associazione con altre specie arboree come l’Acero campestre, la Roverella e il Carpino nero, gli arbusteti, caratterizzati dalle rose, dal Biancospino e dalle ginestre, le praterie, coperte dall’Orzo e dal Grano villoso o le zone umide ricche di equiseti e di felci; ogni ambiente, seguendo il proprio ritmo biologico, si mostrerà al turista in tutta la sua bellezza.

Le fioriture di specie appariscenti, come la Rosa gallica, la Nigella damascena, la Linaria purpurea (endemismo italiano tutelato), il Gladiolus italicus e l’Orchys purpurea (l’orchidea più grande d’Italia), potranno essere ammirate nel pieno della loro bellezza durante la stagione primaverile. Esemplari d’interesse come il Narcissus tazetta (specie considerata vulnerabile ed inserita nelle liste rosse regionali) o rare nel territorio come l’Anemone coronaria (di origine asiatica ed introdotta probabilmente dagli Etruschi) si presenteranno al massimo del loro splendore con il finire dell’inverno.

Anche i boschi, nello stesso periodo, si cominceranno ad animare, e al suo interno madre natura inizierà a tessere tappeti floreali dalle mille sfumature utilizzando, con infinita maestria, il viola della Pervinca, l’azzurro dell’Erba – perla, il fucsia del Ciclamino o il bianco dell’Anemone dell’Appennino.

Con l’arrivo dei primi veri caldi vedremo i prati e i bordi stradali occupati da piante, usate sin dall’antichità per scopi medicinali o alimentari, come la Calendula, il Finocchio, la Cicoria e il Papavero.

Aggirandoci nell’area protetta potremo altresì imbatterci in “singolarità” come le rare forme albine o in specie, magari non tra le più appariscenti, ma che devono il proprio nome comune ad alcune antiche leggende o a qualche particolare usanza popolare: il 24 giugno, giorno di San Giovanni, era tipico, nel periodo medievale, raccogliere una specifica pianta per farne mazzetti da appendere sulla porta di casa come protezione dai demoni; da allora l’Hypericum perforatum fu chiamato Erba di San Giovanni.

Anemone Coronaria

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Narciso Tazzetta

Narciso Tazzetta

Bello da stordire

Amato dai poeti per la sua bellezza e per il suo profumo così inebriante da stordire, temuto nel passato per i suoi contenuti altamente tossici, tanto da essere dedicato ad Ecate regina dei morti, il Narciso tazzetta (Narcissus tazetta) appartenente alla famiglia delle Amaryllidaceae, deve il suo nome specifico alla particolare forma a tazza della sua paracorolla gialla. Pianta erbacea perenne che raggiunge i 60 cm di altezza, oggetto delle famose “narcisate” (gite fuori porta nelle quali se ne faceva una raccolta indiscriminata), trova il suo habitat naturale tra i 25 e 60 metri di altitudine, dove da febbraio a primavera inoltrata è possibile ammirare le sue particolari infiorescenze riunite in tre o sei elementi.

Dal fascino indiscutibile e conosciuto per le sue proprietà analgesiche ed antiflogistiche, il narciso tazzetta o narciso nostrale è distribuito in tutta la regione mediterranea occupando prevalentemente prati e pascoli umidi. La mitologia greca ci tramanda che una ninfa indispettita per essere stata respinta da Narciso, giovane bello, ma dal cuore di pietra, si vendicò in modo atroce.

Portato il giovane presso le rive di un lago lo fece specchiare nelle sue acque calme e terse, dove egli vide la sua immagine riflessa della quale si innamorò perdutamente.

Quando le acque si incresparono, credendo di aver visto la figura di una splendida ninfa, non scorgendola più e per paura di perderla, si gettò disperato per raggiungerla trovando la morte tra i flutti. Cupido allora trasformò il giovane in un fiore, affinché tutti ricordassero le disgrazie a cui porta la vanità.

Il Cerro

Albero dominante nelle formazioni forestali della Riserva Naturale della Marcigliana, il Cerro (Quercus cerris), appartenente alla famiglia delle Fagaceae, raggiunge i 40 metri di altezza sviluppando un diametro che può sfiorare i due metri.

Con la sua corteccia scura ed estremamente solcata, le foglie irregolari ed alterne profondamente incise, la chioma il più delle volte allungata e soprattutto grazie alle sue ghiande, ricoperte dalla loro caratteristica cupola con lunghe squame arricciate, risulta di facile riconoscimento.

Associato, come tutte le querce, alla saggezza, alla forza ed alla longevità, il “re della foresta”, chiamato dagli inglesi Turkey oak, vive tra i 100 e gli 800 metri prediligendo boschi ricchi d’acqua dal terreno acido. Ricco di tannino usato per decotti dalle molteplici virtù, il cerro, vista la sua rapida crescita, viene abbondantemente coltivato in vivaistica forestale per essere impiegato nei rimboscamenti di ambienti mediterranei.

Il suo legno di colore roseo dalle tonalità violacee, anche se non pregiato e di difficile lavorazione, viene largamente utilizzato come legna da ardere, data l’ottima combustibilità, e per la costruzione di traverse ferroviarie o di doghe per botti.

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Cerro

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Riserva Naturale della Marcigliana

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