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L’antica città di Galeria
Su uno sperone tufaceo a picco sul torrente Arrone, si trovano i ruderi del castello di Galeria, coperti da una fitta vegetazione che convive con le rovine realizzando uno scenario di particolare fascino; romantiche suggestioni emanano da queste rovine, ispirando anche poeti come Domenico Gnoli che definì l’antico borgo una “piccola Pompei”. Alcune fonti ritengono di poter attribuire la nascita del sito alla civiltà etrusca, quando vi sarebbe sorto l’abitato conosciuto come Careia, posto al confine tra i territori delle potenti città etrusche di Veio e Cerveteri. Rare sono le testimonianze di questo periodo: un antico percorso viario (cosiddetta “tagliata”), alcune tombe ricavate nella forra sottostante il castello, alcuni resti murari all’interno del borgo ed un’iscrizione con riferimento alla famiglia dei Tarconti, di origine etrusca. In età romana, anche se non abbiamo attestazioni di un vero e proprio insediamento, apprendiamo dalle fonti classiche che Careiae rappresentava la stazione di posta intermedia tra ad sextum e Forum Clodii lungo la via Clodia. Nel VII sec. il papato vi istituì la Domusculta omonima, un’azienda agricola comprendente un territorio vastissimo e come tale di difficile amministrazione, che decadde ben presto e fu distrutta dai Saraceni nel IX sec. Ma i resti più consistenti dell’insediamento risalgono ai secoli seguenti del Medioevo, quando Galeria era un borgo fortificato che traeva la sua sussistenza dallo sfruttamento agricolo della campagna circostante e, per la sua posizione strategica, controllava un importante nodo viario a cavaliere tra le antiche vie Clodia, Cassia ed Aurelia.
La sua storia è densa di avvenimenti relativi ad assedi e repentini passaggi di proprietà .
Primo signore di Galeria fu il Conte Gerardo che ospitò l’antipapa Benedetto X. Ma la massima fioritura del borgo avvenne tra i secc. XIII- XIV, quando fu possesso della famiglia Orsini che lo tenne sino al 1690. Tra gli eventi più disastrosi ed i principali “fatti d’arme” subiti dal castello, si ricordano il saccheggio operato dagli orvietani (1321) che asportarono marmi pregiati riutilizzati nella costruzione del Duomo di Orvieto e gli assedi da parte del Conte Everso d’Anguillara (1457), dei Colonna e dei Caetani (1485).
Il borgo era fortificato con possenti muraglioni solo nella parte pianeggiante, a difesa dell’ingresso, mentre i restanti lati erano naturalmente difesi dalla rupe scoscesa e dal corso dell’Arrone. L’abitato era organizzato attorno alla piazza, che costituiva il centro della vita sociale dei galerani; qui infatti si trovavano il forno, lo spaccio, la casa del governatore, il palazzo baronale ed una chiesa. Le porte di accesso del nucleo abitato erano tre, sulla principale nel 1774 fu montato un orologio che scandiva i tempi della vita sociale e religiosa della comunità. Le due chiese presenti all’interno delle mura, S. Nicola e S. Andrea, di antica origine (consacrate rispettivamente nel X e XIII sec.), subirono nei secoli numerosi spogli, distruzioni e rifacimenti, sino al saccheggio finale perpretato dai Cesanesi nel 1837. Se oggi sono percepibili solo scarsi resti della chiesa di S. Nicola, il campanile di S. Andrea si staglia invece ancora alto, connotando marcatamente il profilo del borgo.
All’esterno del centro fortificato, lungo il fiume, era invece il “quartiere povero” dove vivevano i contadini e si svolgevano le attività produttive. Qui un ponte scavalcava l’Arrone, una chiusa controllava il flusso delle acque ed alimentava il funzionamento di un mulino per il grano; prossimo al fiume era anche un fontanile-lavatoio, mentre poco oltre, in un luogo chiamato “Ospedaletto” si trovava una casa ad uso infermeria (oggi scomparsa), sorta nel XIV sec. a seguito delle continue pestilenze, e la chiesa di S. Maria della Valle, oggi allo stato ruderale.
L’insorgere della malaria ed altri fattori concomitanti portarono ad un progressivo abbandono del borgo. Nel corso del XVII sec. l’abitato passò dal Collegio Germanico alla famiglia dei Manciforte, che tentò di rivitalizzarlo con opere di restauro e con l’introduzione di nuove colture come il gelso per la produzione dei bachi da seta. Ma il declino fu inesorabile; sul finire del XVIII sec. sembra che vi trovò rifugio il celebre brigante Spadolino, notizia che fa intuire come il borgo fosse ormai in rovina. Dal XIX sec. Galeria è una “città morta” e la popolazione si è spostata nel vicino centro di S. Maria di Galeria ed a Cesano.
Oggi, le rovine di questo luogo ricco di storia costituiscono l’emblema dei nostri beni culturali: un patrimonio straordinario, ma fragile, da preservare e valorizzare.
Alessandra Reggi (tratto da Atlante dei Beni Culturali delle Aree Naturali Protette di RomaNatura)