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Monte Mario, parco a rischio roghi: una maxi discarica tra le due favelas

Nascoste tra gli alberi, ecco le baraccopoli: arbusti sulle porte per renderle poco visibili

Sotto gli alberi e le incerate variopinte si prova a resistere nonostante le condizioni che rendono difficile la sopravvivenza, tra cataste di rifiuti, assenza di acqua e servizi igienici, e l’assedio continuo di sciami di calabroni. E nonostante la paura che non se ne va per quello che loro stessi definiscono «il grande fuoco» perché capace, in poche ore, di divorarsi quasi tutta la montagna con la complicità del vento. Fornelletti e griglie da allora sono maneggiati con cura, però ci sono e vengono usati quasi quotidianamente anche se i vigili urbani hanno chiesto di evitare rischi. «Sono venuti, hanno guardato, ma non ci hanno detto di andare via, hanno accettato che dormiamo qui – ci raccontano gli sfollati del parco della Vittoria – Però ci hanno detto di non fare fuoco, così alle volte mangiamo salame, cose che compriamo già pronte». Perché due settimane fa le fiamme hanno mangiato tutto il bosco proprietà della Regione Lazio scatenando l’emergenza cittadina. E, fin dalle prime ricostruzioni, a tutti è stato chiara la dinamica dell’incendio: «È possibile per cucinare. Sacchetti di plastica nel pattume che sia partito colposamente da un accampamento all’interno del parco, in cui è probabile che durante la preparazione di un pasto, quindi col fuoco, sia scoppiato l’incendio e poi il vento lo abbia fatto rapidamente diffondere», diceva il sindaco Roberto Gualtieri confermando, indirettamente, il problema sicurezza a Monte Mario sollevato dal Corriere con numerosi reportage. Adesso le aree dalle quali è partita la prima scintilla sono state poste sotto sequestro, i sigilli dei carabinieri sono in evidenza. Eppure qualcuno è già tornato per riprendere possesso degli anfratti sotto i cavalcavia, lungo via Romeo Romei, laddove il fuoco è partito.

Qualche indumento steso a un filo ad asciugare, un tappeto per terra usato forse per pregare. Intorno è tutto nero carbone: la devastazione non solo si vede con gli occhi, ma si sente anche nel naso per l’odore acre di bruciato che sale nelle narici. Lì, però, siamo vicini al rischio zero visto che non è rimasto praticamente nulla di infiammabile, solo rifiuti carbonizzati, pentole annerite e mozziconi di alberi.

Il pericolo adesso è immerso nella vegetazione di parco della Vittoria – a poca distanza da una scuola (l’Istituto comprensivo – Giacomo Leopardi) e qualche metro più in là della cenere del rogo che ha costretto la Rai ad evacuare gli studi di via Teulada – nei due accampamenti che resistono tra le radure sterrate nate in mezzo agli alberi che si diradano. La rete di un letto a fare da portone in entrambe le tendopoli, le capanne col tetto di incerata che, sì, protegge dalla pioggia però amplifica il caldo, le tende-separè leopardate, le stoviglie e le suppellettili accatastate su sedie rotte e tavolini zoppi, taniche vuote e qualche ombrellone in tessuto acrilico. Due villaggi invisibili al momento abitati da nove persone, tutte di origine rumena, però «aperti a chi viene» a Roma in cerca di fortuna, ci fanno capire gli inquilini dando il senso del transito continuo in quei due luoghi. Che hanno in comune una maxi discarica piena di cartacce e di plastica, ovvero l’ambiente ideale per far nascere e sviluppare un nuovo incendio, e il metodo per cucinare: bombole artigianali alimentate ad alcol, di fatto un pericolo per l’incolumità delle persone e per il bosco, di questi tempi particolarmente secco. «I vigili non ci hanno proposto soluzioni alternative», dice preoccupato uno degli sfollati, il più anziano e, forse, saggio: sa che è meglio non scherzare col fuoco.

Fonte: corriere.it

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